L’allevamento di cani di razza come imprenditore agricolo
La norma dettata nell’articolo 2135 C.C. ha, in passato, posto non pochi problemi di carattere interpretativo ai fini dell’assimilazione della figura dell’allevatore di cani di razza a quella dell’imprenditore agricolo.
A rendere difficoltosa l’attribuzione dello “status” di imprenditore agricolo a chi, in possesso di un certo numero di fattrici, faceva cucciolate, era il fatto che non essendo i cani destinati all’alimentazione, la relativa attività di produzione poteva definirsi industriale più che agricola.
Finalmente con la Legge 23 agosto 1993 n. 349 è stata fatta chiarezza in materia.
E’ intuitivo che i destinatari della nuova disciplina non sono i cinofili che producono la cucciolata occasionale con la cagna “di casa”, ma quelli che dall’allevamento ricavano utili di una certa consistenza.
La normativa in esame si apre con una precisazione che introduce un’innovazione: con l’espressione “attività cinotecnica” ci si riferisce all’allevamento, ma anche alla selezione ed all’addestramento dei cani di razza.
Il punto centrale dell’intera disciplina deve, però, certamente considerarsi l’art. 2, il quale afferma che “L’attività cinotecnica è considerata a tutti gli effetti attività imprenditoriale agricola quando i redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto. I soggetti, persone fisiche o giuridiche, singoli o associati, che esercitano l’attività cinotecnica di cui al comma 1 sono imprenditori agricoli ai sensi dell’articolo 2135 del Codice civile. Non sono comunque imprenditori agricoli gli allevatori che producono nell’arco di un anno un numero di cani inferiore a quello determinato, per tipi o per razze, con decreto del Ministro dell’agricoltura e delle foreste da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Il decreto cui il legislatore fa riferimento è stato emanato il 28 gennaio 1994 e comprende un unico articolo, che recita testualmente: “Non sono imprenditori agricoli gli allevatori che tengono in allevamento un numero inferiore a 5 fattrici e che annualmente producono un numero di cuccioli inferiore alle trenta unità”.
Dunque, ai sensi dell’art. 2, pertanto l’attività cinotecnica è considerata attività imprenditoriale agricola, quando i redditi che da essa derivano risultano prevalenti rispetto a quelli di eventuali altre attività (non agricole) svolte dal soggetto e purché quest’ultimo sia proprietario di almeno cinque fattrici e non scenda al di sotto dei trenta cuccioli l’anno.
Il successivo articolo 3 della L. n. 349/1993, infine, pone in capo ad allevatori ed addestratori, l’obbligo di rispettare le disposizioni emanate dalle Regioni e – per quanto attiene alla selezione delle razze – le disposizioni dell’ENCI (Ente Nazionale della Cinofilia Italiana).
Proprio in virtù delle suddette disposizioni legislative, la giurisprudenza ha riconosciuto la compatibilità urbanistica della localizzazione in zona agricola di strutture destinate al ricovero per cani e riconducibili nella generale categoria dell’attività cinotecnica come definita dalla L. n. 349/1993 (Cfr. TAR Trentino Alto Adige, sez. Trento, 17 febbraio 1994, n. 27, e TAR Abruzzo, sez. L’Aquila, 4 giugno 2004, n. 745).